Undici
opere fotografiche a colori
Un’installazione al centro della galleria
Una sequenza di disegni digitali su fondo bianco
Daniele
Jost lega l’immagine e la forma architettonica in maniera
empatica. Non si distingue più il reale dal fantastico, la fotografia
dalla manipolazione elettronica, l’inserto vero da quello virtuale.
Tutto si appartiene in un medesimo sguardo sulle periferie non solo
geografiche, sulla suburbia decadente, sui paesaggi di natura intensa,
su archeologie agricole ed industriali.
Le fotografie
Paesaggi autunnali, distese boschive su manti nevosi, periferie architettoniche
dalla cementificazione imbarazzante, campi ad alta coltivazione, strade
abitative con case basse in sequenza, una cava dai colori terrosi, la
vecchia cartiera oggi in disuso… sono alcuni dei luoghi dove l’artista
ha indagato aspetti peculiari, caratteri storici e geografici, evidenze
e anomalie di un mondo che chiede risposte radicali alla visione artistica.
Improvvisi come moloch misteriosi, alcuni modelli architettonici si
stagliano negli spazi come macchie di sangue sulla neve. E da qui, da
questi inserti alchemici, inizia il vero viaggio dei lavori, la chiave
espansiva con cui aprire analisi e discussioni.
L’installazione
Baghdad, Scampia, Berlino, Bologna, Capaci, Chernobyl, New York, Londra,
Madrid, Hiroshima, Sarajevo, Vajont… sono luoghi di tragedie consumate,
spazi reali che oggi contengono un archetipo della violenza estrema.
La polvere ce li racconta lungo un’installazione incombente ed
essenziale, un diapason silenzioso attorno ai rumori del mondo, un esercito
di sacchetti che ci costringe a considerare lo spazio e le forme con
responsabilità morale. Disegni
digitali
Finchè tutto torna all’essenza del disegno, al tratto sottile
su pagine di bianco abbagliante. La mano che si muove digitalmente come
impronte scure sulla neve piatta. Il disegnare che ricrea edifici mentali,
invenzioni pure e, proprio per questo, conretamente fattibili, ben oltre
la propria utopia genetica.
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