L’idea di realizzare, per la prima volta, dei “multipli”
dai lavori di Giovanni Albanese, è all’origine di questa
mostra che, da una parte, risponde all’esigenza dell’artista
di poter comunicare con il maggior numero di persone, dall’altra
intende avviare un lavoro specificamente dedicato ai “multipli d’autore”,
non solo esaltandone il carattere di vere e proprie opere d’arte,
nate direttamente dalla creatività dell’artista e realizzate
con la sua fattiva partecipazione, sia nell’esecuzione dei prototipi
sia nella produzione; ma anche valorizzandoli in quanto elementi costitutivi
di installazioni legate a un preciso progetto espositivo. La mostra si
struttura, dunque, come un’opera ambientale risultante dall’organizzazione
di unità elementari primarie: cinquanta “multipli fiammeggianti”
ideati nell’ottobre 2003 e realizzati in due serie di venticinque
pezzi ciascuna, i quali, una volta terminata la mostra, sono destinati
a seguire percorsi e destini differenti, come è accaduto, per fare
solo alcuni esempi, alle “Puntine” di Claudio Cintoli, alle
“Scatole di Merda d’artista” di Piero Manzoni, ai “Fiori”
di Andy Warhol, che una fotografia del 1965 mostra montati l’uno
accanto all’altro fino a occupare tutte le pareti della Galerie
Ileana Sonnabend di Parigi.
Discendenti diretti deIle Pitture esposte sin dal 1997, i Multifiammeggianti
sviluppano un aspetto particolare della ricerca artistica di Giovanni
Albanese, naturalmente portata “verso la formalizzazione dei materiali,
superandone la pura associazione...quindi verso la rappresentazione”,
come ha sottolineato Achille Bonito Oliva, definendo, già nel 1999,
le sue installazioni “teatri di posa, set cinematografici che inglobano
dentro di sé l’architettura circostante...”. Secondo
un’esigenza più volte affermata, Albanese mette in scena
oggetti in relazione nello spazio, elementi capaci di dialogare tra loro
e di trasformare un luogo qualsiasi in luogo dell’epifania, dello
spettacolo: sfolgorate come un Luna Park futurista, rutilante per l’oscillare
continuo di nugoli di fiammelle rosse che disegnano nell’aria virtuali
architetture fatte di piani di luce e inattese linee d’ombra. Quando
le luci si spengono gli oggetti si riappropriano della loro fisicità.
Tornano a essere squadrate cornici metalliche, vitree trasparenze di lampadine,
fili elettrici: oggetti ordinari, persino familiari, attori dilettanti
ma già consumati in attesa di una nuova scrittura o di sorprendere
ancora una volta il loro pubblico con un’altra performance. Questa
disponibilità alla rappresentazione significa una possibilità
nuova di racconto, di dare forma tangibile e comunicabile (un’interpretazione)
a un vissuto che è personale e collettivo insieme, non più
attraverso superfici ricoperte di colori, ma attraverso l’organizzazione
di oggetti e materiali di recupero prelevati e selezionati direttamente
da quel vissuto. Rappresentazione come esigenza di rapporto per comunicare
non concetti ma immagini, vitali e dinamiche perché, a differenza
dei primi, capaci di trattenere in sé memoria della propria matrice
fisica, della propria origine organica. Memoria. Racconto.
Le venti calcolatrici Olivetti prodotte da Albanese alla fine degli anni
Ottanta, prive di scocca e “ciclanti” sopra spettrali luci
di Wood, creature reduci da unrecente passato industriale, raccontano
una “storia di funzionalità” dimenticata, anzi annullata,
dal progresso tecnologico, evocando la “rivolta di oggetti in disuso...che
minacciano una vendetta”. I lavori realizzati dalla metà
degli anni Novanta, oggetti comuni della nostra quotidianità ricoperti
da moltitudini pulsanti di fiammelle elettriche, sembrano invece raccontare
una storia di affetti, di legami, di rapporti, di cui tenere vivo il ricordo,
su cui non far calare il buio dell’amnesia, tanto che s’intitola,
significativamente, Ritratto una della ultime opere realizzate dall’artista.
“La luce definisce lo spazio – scrive Lia De Venere - rivela
la presenza delle cose, palesandone le forme e i colori, si fa guida preziosa
dunque dei nostri sguardi, indispensabile compagna di viaggio della nostra
esistenza...In principio fu il fuoco a fare luce là dove e quando
il sole non c’era. Rubato da Prometeo agli dei e donato (secondo
Eschilo) o solo restituito (secondo Esiodo) ai mortali, diede loro l’illusione
– se non di poter diventare immortali – almeno di poter dimenticare
la morte.”
Dunque, luce come disponibilità a vedere/sentire e ricordare, e
quindi a conoscere; luce come possibilità di contrapporsi all’indifferenza,
alla morte dei sensi, al buio della negazione, al non essere.
Francesca Franco
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